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      Spieghiamoci, come suol dirsi, con un esempio: se abbiamo vicinissimo a noi un nano e ad una grande distanza da noi un gigante, la nostra sensazione visiva (che, in termini volgari, è l'istantanea del colpo d'occhio) non può dirci altro se non che la corporatura del nano è più grande assai di quella del gigante. E pure nessuno, a meno che non si tratti di un allucinato, concluderà in tal modo, ma proprio nel senso opposto, e dirà che la corporatura del gigante è infinitamente più grande di quella del nano benché a noi la distanza faccia vedere il contrario. Tutto questo perché è intervenuto in noi quello che il Locke chiama senso interno, riflessione e che non è che il pensiero in quanto attività, cioè il pensiero che, pensando, ha raffrontato fra loro una serie di sensazioni, di percezioni e di esperienze precedentemente acquistate come la statura del nano, quella del gigante, il rapporto tra la statura del primo con la statura del secondo e poi di tutte e due le stature con quella media, la distanza tra noi ed il nano, tra noi e il gigante, tra il gigante ed il nano, la esperienza precedentemente acquistata che l'aumento della distanza rimpicciolisce i corpi rispetto alla nostra vista.
      Ora noi siamo perfettamente convinti che nessuno può fare a meno di accettare come vera la conclusione cui è giunto il pensiero e come illusoria quella dataci dalla sensazione visiva, per cui, ostinandoci a chiamare astratto il pensiero e concreta la sensazione considerandola come opposta al pensiero (il che abbiamo provato essere impossibile) arriveremmo ad un'assurdità tale che ripugnerebbe non solo ad ogni principio filosofico, ma anche ad ogni elementare criterio di buon senso, affermando che solo concreto è l'errore e solo astratto la verità.


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La Ragione d'essere della Filosofia
di Giuseppe Mannarino
Tipogr. Abramo Catanzaro
1931 pagine 111

   





Locke