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      Ed a che servirebbe, mi si dica, il maneggio più fino, e la pratica più esperta, che uomo avesse dell'attica favella, o di quella del Lazio, quando non sapessimo parlare al nostro continuo bisogno la lingua, che dalla nutrice stessa col latte si apprende? A noi, e in nostro biasimo, rinnovellar si dovrebbe ogni momento la risposta che diè Catone a Postumio Albino, il quale chiedeva perdonanza d'essere incorso in alcuni errori grammaticali, per avere scritto in greco, a lui straniero idioma, l'Istoria Romana; potendo a noi esser detto con simil rimprovero: O forsennati, perchè fare volontario gitto, e rifiuto delle più splendide ricchezze, che per munificenza del cielo felicemente possedete, ed altrui per sommo favore largamente participate, per andar poi mendicando pezzenti da altri ciò che non solo non è comparabile col vostro, ma che non potrete mai perfettamente acquistare, poichè egli non è per voi? essendo pur troppo vero, che chi è forestiero in quella lingua, in cui parla o scrive, non vi può giammai acquistare padronanza assoluta, massime se è lingua morta; ed è forza che o egli erri, ed inciampi ad ogni passo, ovvero che tema sovente di errare. Testimonio ne sia l'avvenimento famoso del principe della lirica poesia, Pindaro, il quale, tuttochè fosse chi egli era, sembrando ad Orazio inimitabile nel verso, pure, poetando in lingua dorica in Tebe, fu giudicato in cinque diversi cimenti inferiore di gran lunga a Corinna vil femminella, la quale in idioma tebano cantava.


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Lezioni di lingua toscana
di Domenico Maria Manni
Editore Silvestri Milano
1824 pagine 179

   





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