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      Se il filosofo Seneca scrivendo nel secol d'argento, che vale a dire ne' tempi che quella lingua era ancora in fiore, dice nell'Epistola cinquantesimottava: Quanta verborum nobis paupertas sit; con quel che segue? Ma immaginate, di grazia, che cosa avrebbero detto, se si fossero trovati al tempo d'Agnolo Monosini, a vedere che, ove i Latini avevano, ed hanno solamente ventotto mila voci, noi, loro figliuoli, per computo del medesimo Monosini, avevamo passato il numero loro; e molto più quel che direbbero adesso, che in centotrenta anni di tempo dal Monosini a noi, abbiamo per le molte scoperte fatte sugli scrittori antichi, raddoppiato quasi nel novero limitato, a che ascendono le latine voci; senza contar quei molti nostri termini, che il volgo ha ammessi col non curare l'autorità di scrittori che gli fiancheggino; e senza contare quella serie di termini particolari di medicina, che adunò manoscritta il nostro Francesco Cionacci, e quella ricchissima, e sopra ogni credere abbondevolissima raccolta di termini particolari dell'arti tutte liberali, ed illiberali, degna d'essere seguitata, alla qual pose mano, dietro le vestigia del nostro Giovanni Norchiati, un altro dotto sacerdote, ed umanista fiorentino, di questo collegio benemerito, Vincenzio Ciani.
      Ma seguendo noi degli accrescitivi e dei diminutivi, e così degli altri a ragionare più sottilmente, osservar si vuole che i nomi si crescono d'alcune sillabe per più riguardi, o per aumentarli, o per iscemarli, dirò così, di significato, ovvero per dar loro dispregio, o per accrescere loro vezzo e tenerezza.


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Lezioni di lingua toscana
di Domenico Maria Manni
Editore Silvestri Milano
1824 pagine 179

   





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