Pagina (136/179)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      E lascia il corpo vil-mente disfatto;
      e ciò ben comprende chi questo verso pronunzia con quella modulazione, che si ricerca, e che a gran prova faceva il suo autore, confessando egli nel Convito con la solita sua ingenuità, che i versi suoi erano fatti con grand'arte, e particolarmente nel suono, e nell'armonia, dubitando infino, che pochi fuor di lui avrebbero conosciuto questo recondito pregio, con dire: Io credo, Canzone, che radi sono, cioè pochi quelli che intendano te bene. E quindi è, che le Canzoni di Dante, lui vivente, cantate venivano con non men diletto, che brio dal famoso musico di quei tempi Casella. Se pure Dante in dicendo:
      E lascia il corpo vil-mente disfatto,
      non ebbe anzi mira con lo sciogliere e disfare lo stesso verso, di mostrare il disfacimento stesso di cui favellava. E ben si osserva che egli simil cosa fece, imitando i Greci ed i Latini, in diverse altre occasioni, come quando, per voler egli biasimare, e spogliar d'onore Giunone, che per leggerissima gelosia a disperder si desse tanti eroi, spogliò d'accenti il verso con dire nell'Inferno, al 30:
      Nel tempo che Giunone era crucciataPer Semele contra il sangue Tebano.
      E molto più quando in quei due versi:
      E fuggì come tuon che si dilegua,
      Se subito la nuvola scoscende;
      per via della fermata sul tuon mostrò il rumore del tuono, e con le sillabe brevi, che sono appresso, la velocità, e la leggerezza del medesimo.
      Ma, per tornare al proposito primiero, altro indizio di quel ch'io diceva, ne dà quel di Dante pure, che nel Purgatorio al IX va dicendo:


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Lezioni di lingua toscana
di Domenico Maria Manni
Editore Silvestri Milano
1824 pagine 179

   





Convito Canzone Canzoni Dante Casella Dante Greci Latini Giunone Inferno Giunone Semele Tebano Dante Purgatorio