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      Uomo per verità singolare. Più volte correva a furia qual chi avesse alle spalle il nemico, altre fiate lento moveasi, quasi recasse le ceste di Giunone. Spesso avea dugento servi, spesso soli dieci. Talvolta con grandiloquenza imprendeva a celebrare re e tetrarchi, talvolta temperato cantava: M'abbia io un desco a tre piedi, un salin puro e una toga, che quantunque grossolana, vaglia a riscaldarmi nel verno. Dato avessi millanta a quest'uomo sì pago del poco, in cinque giorni il borsellino era voto. Vegghiava le notti intiere fino all'albeggiare, russava poi tutto il giorno. Non trovossi mai uomo più cangiante". Era già morto Tigellio allorché così scriveva Orazio, il quale in altro luogo [244] , mordendo la riputazione di questo cantore, ne descrive come per lo di lui trapasso corruccio mostrassero sgualdrine, profumieri, mariuoli, pitocchi, mime e genie siffatte, alle quali egli era largo di soccorso". Ma se anche dalla bocca del nemico si può talvolta raccogliere la lode, facile fia il giudicare a chi voglia in queste dipinture sceverare dall'esagerazione della satira la verità, su cui s'innalza che Tigellio uomo era di versatile ma vivo ingegno, d'incostante ma schietto carattere, di bizzarra ma benigna natura. Né meno si richiedeva, perché quelli stessi suoi difetti condonati venissero non solo, ma obbliati intieramente nella confidenza di cui costantemente godette presso due personaggi di tanta sublimità e di perspicacia non inferiore.
      Con questo Tigellio adunque, e con Famea suo zio, ebbe Cicerone a contendere pochi mesi appena scorsi dal ritorno in Roma di Cesare.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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