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      A Cicerone erasi accomandato Famea per lo patrocinio d'una sua causa, e Cicerone l'aveva accettata per fargli, com'egli stesso spiegasi [245] , cosa grata; ché dei suoi più famigliari era Famea. Ma essendosi designato per questa causa e per l'altra di Publio Sestio, cliente parimenti di Cicerone, il giorno stesso, dichiarò egli non poter posporre agli interessi di Famea quelli di Sestio e disposto essere a prestare la sua opera in qualunque altro giorno. Non è da incolparsi l'oratore se dovendo scegliere fra Sestio e Famea, a quello siasi attenuto, che a lui doveva il massimo degli obblighi fin da quando impiegatosi Sestio a tutta possa, essendo tribuno della plebe, a provocare il di lui richiamo dall'esiglio, con tanta veemenza e contenzione cozzò con Clodio, che d'uopo fu venisse poscia da Cicerone e da Ortensio difeso dall'intentatagli accusa di violenza [246] . Nullameno non deve biasimarsi Famea se trovandosi abbandonato dal valente suo patrocinatore nel momento pericoloso in cui il giudizio soprastava, ebbe coi suoi amici a lagnarsi di tal contrattempo. Amico intimo e mediatore di Famea presso Cicerone era Marco Fabio, uomo, al dir dello stesso Tullio [247] , ottimo, dottissimo, da lui oltremodo amato per l'ingegno sommo, la somma dottrina e la singolare modestia, e che particolarmente s'avea attirato tale stima allorquando, compagno di Cicerone, proconsole della Cilicia, soleva in Laodicea assisterlo non nella spedizione dei pubblici negozi (ché di rado la società nel ministrar le cose di stato ingenera amistà), ma nel trattar le controversie le quali, per quanto Cicerone stesso scriveane ad un amico suo [248] , di frequente egli allora agitava con gli sbevazzanti suoi famigliari epicurei". Con questo Fabio pertanto Cicerone credette suo debito di scolparsi dell'abbandono della causa di Famea, e l'istesso pur fece con Attico; ma con tale acrimonia scriveva egli al tempo stesso e con tale titubanza, che ben si conosce quanto pugnassero nell'animo suo lo spregio d'un provinciale, e d'un provinciale sardo, ed il rammarico d'aver provocato il malcontento d'un amico di Cesare.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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