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      L'aere già si annerava, ma non sì che fra gli occhi di Nino che attentamente mirava il poeta quasi conoscerlo volesse, e gli occhi suoi non si chiarisse l'oggetto; onde slanciaronsi i due antichi amici l'uno ver l'altro e nullo bel salutare si tacque fra loro, grandemente compiacendosi il poeta di non trovare il suo Nino fra gente rea. E gloria massima è certamente per questo nostro giudice l'amistà del grande Alighiero; ché in quell'anima nobile e sdegnosa, per cui benedetta fu con ragione quella che in lui s'incinse, ai soli uomini di cuore generoso o di alti sensi era dato di suscitare benivoglienza. Onde quella laude maggior splendore riflette sulla memoria di Nino che il di lui principato di parte guelfa e la guerresca sua ardenza nei civili conflitti di Pisa.
      Nondimeno tutti gli amici di Nino non erano della tempera di quel sire dell'altissimo canto. Accostato erasi a lui mentre governava il giudicato un frate Gomita, vasello d'ogni froda e rotto ad ogni mala opera; ed aggirando a suo talento l'animo del giudice o distratto o confidente, valevasi dell'acquistata autorità per rimescolare ogni cosa nella provincia e per commettere ogni sorta di baratteria. Se non che non fu di lunga durata la temerità sua e la cecità del giudice; poiché essendo tanto stato oso da vendere la libertà ad alcuni nemici del suo donno ch'egli tenea nelle mani, incontrò alfine la pena delle sue malvagità, dannato al laccio. E la pena gli durò anche della perpetua esecrazione della posterità, che il di lui nome troverà sempre unito a quello dell'infame giudice di Logodoro Michele Zanche in quel canto del divino poema, in cui le più tristi immagini di supplizio furono impiegate per punir degnamente l'inganno e la fraude [890] .


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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