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      Né senza sangue e stragi fu la vittoria di don Alfonso; ché molti illustri personaggi dei suoi regni caddero anch'essi in quella giornata; ed il principe istesso presentossi ai suoi grondante sangue dalle sue ferite, allorché ritornò strignendo nelle mani il vessillo da lui racquistato e mostrando con ciò apertamente esser a lui toccato il maggior pericolo e la gloria maggiore di quel combattimento. Lieto pertanto del successo ritornava l'infante al suo campo di Bonaria; dove facea tosto gittare le fondamenta di una nuova città e di un castello, dal quale potessero i suoi con maggior sicurtà intendere all'assedio della vicina rocca di Cagliari. Per compire infine la felicità dell'impresa, l'ammiraglio inquelli stessi giorni avendo fatto escire le sue galee per combattere il navilio pisano, obbligavalo a vergognosa fuga ed impadronivasi di tutti i legni da trasporto e delle molte vettovaglie contenutevi. Il giudice d'Arborea al medesimo tempo si ricongiungeva all'infante, dopo aver nel mentre ragunato molte bande d'isolani disposti a cimentarsi pel novello loro signore [957] .
      Primo pensiero dell'infante fu allora quello di cingere da ogni lato il castello della capitale; di mantenere la facilità delle comunicazioni; di collocare nei siti opportuni le catapulte e le altre macchine guerresche; di allontanare dall'esercito gli infermi, inviandoli a respirare l'aria dei luoghi più salubri dell'isola. E siccome l'unica via che restava agli assediati pel procaccio delle loro vittuaglie era lungo l'istmo che divide quel golfo dallo stagno cagliaritano, e gli Aragonesi a malapena poteano impedire quelle provvigioni, obbligati a correre più lunga strada pel circuito intiero della spiaggia; ordinava che dieci galee, ottanta cavalli e cinquecento fanti stessero avvisatamente accanto alla foce dello stagno, onde troncare ogni adito ai soccorsi.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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