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      Anzi muovevasi con molto nerbo di soldatesca inverso Cagliari, dando voce che ciò faceva perché non serbavansi a suo riguardo le convenzioni della cessione della Gallura; ed aver egli in mira di difendere solamente le cose sue, non già di far oste nelle terre altrui. Equivoca del pari era la condotta degli uffiziali regii; dappoiché mentre il re trattava di far inclinare il giudice ad un novello accordo, don Bernardo di Cabrera patteggiava segretamente onde impadronirsi per tradigione della di lui persona. S'infocarono alla fine talmente ambe le parti, che ne seguirono molti incontri e scaramuccie [1022 ] nei dominii del giudice ed anche in quelli del comune di Pisa e di Matteo Doria. Ma siccome non si avvantaggiava nissuno in tali fazioni; ed il re preferiva ad una guerra che non risolvevasi in vittoria una pace che dava luogo ad altri consigli, si venne altra volta a trattar di pacificazione col giudice, e si accordava: fossero cedute al re le castella di Petreso, di Bonvehi, con tutta la Gallura; quelle di Ardara e di Capola si ponessero in potere dell'arcivescovo d'Arborea, o del vescovo d'Ales, fino a quando il pontefice giudicasse dei diritti che il re vi avea malgrado della vendita fattane al giudice da Damiano Doria; il re restituisse i luoghi di Materó e di Gelida staggiti al giudice in Catalogna; il giudizio sulla carcerazione di don Giovanni di Arborea appartenesse al re con appellazione al pontefice. Al tempo stesso si acquetavano le dissensioni con Matteo Doria, mediante l'abbandono a tempo che egli faceva del Castello Genovese e delle fortezze di Roccaforte e di Chiaramonte.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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