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      Il tal maniera il giudicato di Arborea, che solo soprastava alla ruina degli altri stati dell'isola, cadeva per sempre; abbenché non mai tanto potente e tanto illustre quanto nell'ultimo periodo della sua esistenza. Ma il re poco giovavasi di quella mutazione; perché in quello stesso anno moriva, lasciando tutti i suoi regni in grande esitazione per l'incertezza del successore. Onde i sudditi della casa d'Aragona al tempo stesso in cui per lo scisma della Chiesa erano turbati nell'obbedire ad uno dei tre contendenti il pontificato, restarono anche lunga pezza concitati per non sapere a qual sovrano dovessero sottostare fra i molti principi che pareano aver ragione a quella corona [1120] .
      Nondimeno quella titubazione non s'impadronì dell'animo del viceré. Questo fedele e valoroso suddito mancando la persona del sovrano imprese a servire con eguale ardore la causa della Corona; ed a lui è dovuto principalmente se in quel trambusto non si perdette ogni frutto delle passate vittorie. Il visconte non contento dei progressi fatti coll'occupazione del Logodoro non scadeva dalle speranze di far suo l'intiero regno. I Genovesi più apertamente vendicavano in quelle congiunture le antiche ingiurie, assistendo i disegni del visconte e quelli dei Doria, sempre possenti nell'isola e sempre macchinanti turbolenze. Con questi dovette lunga pezza contendere il viceré, facendo provvisione alla salvezza delle castella della Corona. Né sgomentossi quando la rocca importante di Longonsardo assalita improvvisamente dalle genti di Cassiano Doria cadde per codardia del comandante catalano in potere dell'inimico.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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