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      Negli ultimi anni perciò della sua vita non altri ricordi si serbarono in Sardegna del di lui governo, che lo scambio dato al viceré Giorgio di Ortaffa prima con Giacomo Carròz, conte di Chirra, e poscia con Giacomo Besala [1175] .
      Succeduto dopo la morte di don Alfonso nei di lui regni il fratello suo don Giovanni, secondo di tal nome, non tardò a dimostrare come grandemente stavagli a cuore la prosperità dell'isola. Resta infatti il ricordo di due prammatiche promulgate nei primi anni del suo governo, nelle quali tutta trasparisce la sollecitudine di preservare i sudditi più deboli da qualunque duro imperio dei grandi. Comandò egli per tal fine non meno ai signori di feudi, che ai ministri suoi, si contenessero del travagliare in conto veruno i vassalli. E discendendo alla numerazione di quei particolari senza la quale le espressioni delle leggi tanto meno colpiscono quanto più accennano, dichiarava: non si esigesse dai vassalli nissun diritto novello; non s'imponessero insolite servitù; tratti umani s'impiegassero seco loro; proibito fosse il costringerli alla vendita di qualunque cosa; libero invece fosse per essi il traffico delle derrate. Rinovellando infine un savio ordinamento degli antichi Romani, di cui altra volta si diede cenno [1176] , permetteva ai grandi nelle terre dei vassalli la sola compera delle cose necessarie al vitto; affinché nelle maggiori convenzioni il rispetto della dignità non accrescesse da un canto, e non menomasse dall'altro la libertà dei contratti [1177] .


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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