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      Corso rapidamente l'intervallo che le separava dal viceré, giunsero le schiere di Arborea comandate da Niccolò Montagnano a cinger un'altra volta d'assedio la rocca di Monreale; donde partivano a travagliare tutti i luoghi regii e ad intraprendere le vittuaglie indirizzate alle castella. Si arrivò infine a campeggiare il castello stesso della capitale; dove Artalo e Ludovico di Alagón, figliuoli del marchese insieme col visconte di Sanluri, don Giovanni Dessena, comandando un esercito ordinato di seimila combattenti, tanto avanti si spinsero, che poterono infestare quel porto impossessandosi di alcune navi e guastando tutti i luoghi confinanti. In tale stretta di cose il viceré più pronto a provocare il male che preparato a fronteggiarlo, non altro riparo trovava salvo di portarsi in Barcellona, ed ivi esporre al re il tristo quadro della situazione delle cose. Ed è ben da presumere che dovendosi prosciogliere dall'imputazione la quale poteaglisi fare dal re d'aver egli destato quell'incendio, abbia l'oratore se non aggravato la reità del marchese, ottenebrato almeno le notizie delle prime cause della guerra rinata, acciò l'animosità vestisse il colore di zelo. Si bandirono allora con autorità regia due sentenze; la prima delle quali dichiarava il marchese, i suoi figliuoli e fratelli felloni, e condannavali alla pena capitale ed alla confiscazione di tutti i beni da essi posseduti. Si enuncia in tale condanna: aver il marchese con minaccie ed improperii ributtato gli ordinamenti giudiziali comunicatigli dal governatore di Sassari; risultare dalle informazioni prese dall'assessore Bernardo Semfore aver l'accusato mancato dell'obbligo che correagli di restituire al re alcune terre comprese nell'ultima concordia; essersi millantato che a lui tornerebbe agevole l'esser re dell'isola se il ticchio gliene venisse"; esser inoltre trascorso a dire che il re era tutto intento a spegnere il casato di Arborea affinché mancasse ai Sardi l'ultimo difensore dei diritti loro e non fosse oramai chi impedisse di ridurli ad umiliante schiavitù"; aver pure in varie occorrenze disobbedito apertamente a quel governatore; aver i suoi soldati innalzato più volte il grido di viva Arborea e cada Aragona"; in tutta la guerra essersi da essi commesse le nefandità le più intollerabili, travagliando con assedi ed incursioni le terre e gli uomini regii.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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