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      Anzi era tanta l'ardenza di quelli isolani, che invitavano il viceré istesso don Antonio di Cardona a porsi alla testa della spedizione ed a far valere in quell'opportunità la grande sua esperienza delle cose guerresche. Ed egli assentiva tanto più volonteroso, in quanto giugnevangli ad un tempo gli ordini uniformi del re e le preghiere del viceré sardo. Partitosi adunque da Trapani con la sua galea e con quelle del capitano generale Villamarín [1190] , intese tosto a fornire di frumento gli Algheresi cibantisi già da parecchi giorni di sole erbe. Anche il conte di Prales, siciliano, era passato allora nell'isola con alcune compagnie di fanti ragunate a sua istanza dagli uffiziali municipali di Palermo; e venivano queste nuove soldatesche a porre stanza nel castello di Cagliari e nel borgo di Lapola. Quantunque non pienamente gradita tornasse al viceré sardo la venuta di quel conte e del capitano generale; dacché non li credea lontani dal tentare col marchese quelli espedienti di conciliazione ch'egli tanto abborriva. Perciò alcune di quelle galee approdando in Bosa venivano accolte quasi ostilmente dalle genti del viceré; ed alle prime parole di pace profferite da quei capitani erano essi rimbeccati da lui in modo che non restasse verun appicco alle trattative di concordia. Tanto infine era confitto nell'animo del nostro viceré il disegno di condurre a termine l'abbassamento del suo nimico per la sola via della forza, che sospettando non si annidassero nelle truppe ausiliarie sentimenti più miti, rifiutava il soccorso delle genti siciliane dicendo: bastargli il denaio promessogli; con questo egli ingrosserebbe le schiere sue di nazionali; esser questi meglio di qualunque altro utili in quelle bisogne; male tornerebbe agli stranieri l'esser dessi selvaggi del luogo ed abituati a diverso cielo.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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