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      Il viceré era stato in tutto il frattempo così a mala guardia, ed avea così rimessamente considerato il bisogno di difesa che il concitamento delle armi in Italia potea far nascere ad ogni momento, che per lui non mancò non siano le cose andate per la peggiore. Ma sopperì alla di lui fiacchezza e spensierataggine lo zelo svegliato del governatore del Logodoro Francesco de Sena e la prodezza di due gentiluomini sassaresi. Furono questi don Giacomo e don Angelo Manca dei baroni di Tiesi, i quali profferitisi di difendere il castello, si gittarono colle lor genti entro quelle mura senza frappor tempo in mezzo; nel mentre che alcuni altri primari personaggi della provincia scorreano per ogni dove ragunando soldatesche ed animando i popolani dei luoghi litorali a resistere gagliardamente al nemico.
      Il Castello Aragonese fu trovato senza soldati, senza bocche da fuoco e senza vittuaglie. Si pose tosto mano a restaurare alla meglio la rocca prima che sopraggiugnessero le schiere di Renzo; le quali cacciandosi innanzi anch'esse con velocità, giunsero in breve, dopo aver guastato le regioni confinanti, a campeggiare il castello; frattanto che l'armata di Andrea Doria chiudeva il porto. Questo capitano avvisando che il nome dei Doria non fosse ancora obbliato in quella rocca eretta dai suoi maggiori, spediva al tempo stesso sotto le mura suo messaggiere Antonio Doria, e questi rappresentava agli assediati: esser vana la difesa contro ad un esercito agguerrito e così ben ordinato; evitassero le terribili conseguenze d'un assalto e le ire d'una soldatesca efferata che agognava il sacco della terra; potrebbono in tal maniera le condizioni della resa trattarsi dagli uni con maggior vantaggio, dagli altri con maggior arrendevolezza.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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