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      Colà nel momento appunto delle mal concette lusinghe cominciò la sorte dei congiurati a dare l'ultimo crollo. Uno dei tre commissari, don Iacopo Alivesi, uomo di trista natura, ambidestro e dotato di quella cupa dissimulazione ch'è la larva necessaria di ogni tradimento, ebbe lingua del viaggio e dei disegni del Cao. Ed avvisando tosto di trarne pro, come gli venne in pensiero così fece. Volò egli in Roma ed ivi accostatosi al fuggiasco colla sembianza d'uomo tenero della di lui causa ed infiammato al par di lui alla vendetta, seppe così destramente adoperare con esso lui le parole melliflue del blandimento e le parole stimolatrici della provocazione, che, acquistata la maggior entratura nella confidenza del Cao, venne a poterlo indurre a veleggiare seco lui in Corsica, donde potriano meglio indirizzare gli amici dell'isola, o se le cose diversamente ricercassero, trattare come pacieri le condizioni del perdono.
      Diedero poscia in quella stessa ragna gli altri complici. Nocque loro l'illusione del compagno, che scriveva esser le cose in tal punto mercé dell'opera amica dell'Alivesi, che oramai la presenza loro nella Sardegna era più profittevole che rischiosa; abbandonassero il luogo dell'esiglio; esser aspettati nella terra natia; il termine appressarsi delle disavventure. Ed il termine invero appressavasi. Abbandonata nella città di Nizza la sola marchesa, giungevano in Corsica il marchese di Cea e don Silvestro Aymerich, mentre che vi arrivava d'altra parte don Francesco Portoghese; e quivi dopo molti parlari, mentre l'occulto loro nemico manteneva chiusamente in Sardegna le intelligenze perché riescisse a buon fine la trama da lui macchinata, non sospettando eglino di che sapessero quei movimenti, di lui soprattutto si confidavano.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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