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      Il viceré o luogotenente generale era destinato a rappresentare ai sudditi lontani la persona del sovrano. Come questo adunque egli dovea ragunare in se stesso tutte le maniere di giurisdizione e tener sotto la mano tutte le cariche dello stato. Mentre perciò gli si commise l'impero delle milizie e genti da guerra, gli si sottopose eziandio coll'amministrazione politica ed economica del regno quella che di tutte è la più sublime, l'amministrazione giudiziaria; facendosi dipendere dalla di lui autorità le facoltà concedute al supremo magistrato dell'isola, del quale il viceré fu dichiarato il capo [1355] . In tal modo siccome nei di lui atti il nome veneravasi del sovrano, così in ogni atto dei maestrati la podestà si riconobbe del viceré.
      Il solo procuratore reale (ché così allora chiamavasi quello che reggeva l'amministrazione e il foro delle cose fiscali) fu per molto tempo considerato dai sovrani come assoluto disponitore delle bisogne da lui governate; e vietato fu più volte ai viceré di turbare l'andamento delle di lui operazioni, o d'intromettersi nella definizione dei litigi che agitati in quel tribunale privilegiato, non ad altra podestà poteano essere sottoposti che a quella immediata del sovrano. La qual cosa nella distanza del trono importava il silenzio della maggior parte delle persone mal soddisfatte di quei giudizi. Solo nel regno di Filippo II, in quel regno che con sì diverse sembianze mostrasi nella storia di Sardegna e nella storia dell'Europa, si pose riparo a quella mostruosa eccezione.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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