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      Questa participazione dei consigli di città ai conventi generali della nazione si confacea eziandio alle massime politiche in quel tempo osservate negli stati aragonesi; in quanto che essendo le terre tutte dell'isola concedute in feudo, nissun altro mezzo rimaneva onde porre in concordanza mercé di un adattato temperamento le richieste del clero e dei gentiluomini con gli interessi di tutti, fuorché comunicando ai procuratori delle città eguali diritti. Giacché in quei tempi le ville sottoposte alla signoria feudale prive erano di ordinamento per lo governo delle cose del comune; né aveano altro mezzo ordinario per far valere agli occhi del sovrano i loro bisogni salvo la voce dei baroni, i quali nello stamento militare consigliavano anche intorno alle cose spettanti a quelle ville. Era allora solamente in uso nei comuni una raunata generale dei popolani nella quale si ragionava talvolta dei negozi di maggior momento. Ma queste congreghe né poteansi agevolmente intimare, né intimate poteansi facilmente sciogliere con quella quiete ch'è necessaria al maneggio degli affari pubblici. Se devesi adunque commendare lo special favore conceduto dalla politica aragonese alle città nel curare le proprie bisogne, non si può dire lo stesso del pericoloso mezzo che a tal uopo si lasciò nelle mani degli abitanti delle ville. Laonde fu poscia giustamente applaudita quella saggia legge dei reali di Savoia, la quale creando per la prima volta in ciascuna villa i consigli comunali e determinando le regole di una perpetua surrogazione e di un torno uniforme nel governo di tutti gli uffizi, diede forma stabile e sicura all'amministrazione dei nostri comuni [1432] .


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





Savoia