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      . Ed ecco come il nostro Lo Frasso si mostra poeta in quella maniera con cui mostraronsi i migliori; vale a dire togliendo i suoi colori da quel vero della natura, senza il quale nissuna cosa è bella.
      Nel tempo stesso in cui il Lo Frasso verseggiava nella nobile lingua castigliana, Pietro Delitala di Bosa pubblicava per la prima volta in Sardegna un volumetto di poesie italiane [1576] . La qual cosa è invero notevole per chi sa quanto scarsa fosse in quell'età la perizia di tal idioma nell'isola; dove la sola lingua latina era allora adoperata per gli studi maggiori, e la castigliana e la catalana erano usate negli atti pubblici e nella colta società. Lo stesso autore ebbe a riconoscere la novità di questo suo intento e ne trasse argomento per asserire in un suo arguto ragionamento al lettore: esser la nobilissima lingua toscana nel regno da pochissimi intesa esattamente, e queste esser persone che con animo netto noteriano gli errori e con clemenzia ne lo riprenderebbono (ch'esser non può scortese un che sia dotto); lo che il volgo per tutto l'oro del mondo non farebbe". Incominciano le sue rime con alcune stanze di argomento spirituale, che procedono con molta nobiltà e franchezza di espressioni. Ecco come nel giungere a descrivere l'incarnazione del Verbo, dopo aver rifiutato in sì grave tema il soccorso delle muse, egli ne canta:
     
      Dunque, o donna del cielo, o nostra Dea,
      Dacché la parte è tua, rischiara il canto:
      Dettami, qual di là dove sedeaIn seggio eterno al suo Signore accanto


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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