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      La notizia di tal partenza fé fuggire il coraggio ai partigiani imperiali ed inanimì maggiormente gli assalitori; i quali tostamente commisero al conte di Pezuela, colonnello di cavalleria, di andar dietro al viceré ed impadronirsi della persona di lui. Ed egli lo arrivava presso al villaggio di Siamanna; dove non pertanto il viceré, favoreggiato dai popolani, trovava modo di eludere i suoi ormatori andando per tragetti e conducendosi in tal maniera ascosamente insino ad Alghero. Frattanto che cadevano nelle mani degli Spagnuoli don Pietro Blancifort, conte di S. Antonio, generale delle galee sarde, ed altri gentiluomini del seguito.
      La piazza di Cagliari era intanto bersagliata da trenta cannoni e da venti mortai, i quali aveano scagliato entro la città più di cinquemila bombe. La breccia trovandosi già aperta in parecchi luoghi, ordinavansi dagli Spagnuoli le cose per un assalto, quando i Tedeschi, avvisando forse che la resa della fortezza potea dilungarsi ma non impedirsi, diedero il segno di voler capitolare. E si accordava per ciò: escissero della rocca le soldatesche disarmate e venissero accomodate di pronto imbarco per poter passare a Genova. Dopo la qual convenzione le truppe del re Cattolico occupando la città e lasciandovi per presidio i reggimenti chiamati di Bustamente e di Basilicata, con una centuria di dragoni mettevansi in punto di compiere faustamente l'opera col ridurre a obbedienza le altre due rocche principali del regno, cioè Alghero e Castellaragonese, le quali tenevano tuttora per l'imperatore.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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