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      A qual fine mandavagli anche una distinta storica relazione di quanto erasi praticato dal governo spagnuolo nelle periodiche tornate delle corti generali, acciò vi si uniformasse.
      A questo divisamento del re non rispondeva il consiglio del viceré e de' ministri, anche nazionali, co' quali egli ne fé consulta. E si allegava: essere siffattamente radicato il novello dominio, non solo pel trascorso di lungo tempo, ma anche per la volonterosa e leale sommessione de' Sardi, che l'esercizio della reale prerogativa del convocare le corti, dove anche potesse giovare alle cose interiori dello stato, sarebbe sempre di soverchio nel rispetto della già ottenuta piena consistenza della signoria; consumarsi ne' dispendi di quella convocazione quasi il valsente dell'annuo donativo; la scarsità di varii ricolti, gl'interrotti commerzi per ragione della guerra, le spese straordinarie sopportate dalla nazione pe' donativi accresciuti ne' precorsi anni, dare impedimento all'aumentazione del principale tributo; essere dunque, almeno per questo riguardo, indubitato che il governo non era allora in grado di giungere a quella mira cui avea volta la mente. Così eglino. E queste ragioni dette da' ministri maggiori del luogo, e da quelli stessi che doveano porre in bilancia, con le considerazioni del comun bene, quel sentimento ancora di venerazione e di carità che ne affeziona alle antiche leggi della patria ed alle consuetudini de' maggiori, distornavano il re dal preso proponimento. Onde fra gli apparecchi già ordinati per quella raunata, riducevasi solamente ad effetto il ruolo che allora si descrisse altra volta della popolazione dell'isola; nel quale venne ad apparire con vero compiacimento del re e della nazione come ne' soli ventitré anni decorsi dopo l'ultima numerazione annoveravansi al di là del computo allora fatto meglio di cinquantamila anime [1694] . Né dopo tal tempo si pose più mente a provocare nuove deliberazioni sulla convocazione del parlamento.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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