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      Né ad altro si deve ciò attribuire che al non aver lo scrittore posto mente al gran precetto del curare lo stile. Egli credette di poter trasportare nelle pagine d'un'istoria tanto più abbisognante di venustà di dire, quanto più povera di egregie fazioni, quella cotal maniera di stile alla segreteriesca che adoperava nel vergare i suoi spacci; senza badare che se nelle scritture destinate alla muta immortalità degli archivi bastar può la chiarezza e la dignità, in quelle che della luce pubblica voglion giovarsi, ben altre condizioni si richieggono. Un altro difetto essenziale snatura quell'opera specialmente nella parte sua antica. Non avendo l'autore durato la fatica necessaria a rintracciare le memorie sperperate che qua e là è d'uopo raccogliere per scrivere la storia sarda, la quale può ben paragonarsi ad un lavoro a mosaico; e d'altra parte obbligato essendo a riempirla di qualcosa, appigliossi al partito di ragunare merci straniere, innestando al suo libro gran parte de' fasti romani, senza alcuno di quelli artificii che d'uopo è adoperare acciò la storia della provincia non confondasi con quella della metropoli e serbi una sembianza propria. In tal modo ha egli trasportato nella sua storia la descrizione della battaglia navale di Duillio e gli onori accordati a questo generale, e le vicende e catastrofe di Cleopatra, ed altre cose siffatte, col soccorso delle quali, se agevole torna lo scrivere, non del pari lo è il farsi leggere.
      [88] Diodoro Siculo, Bibliothecae, cit., lib.


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Storia di Sardegna
di Giuseppe Manno
pagine 1187

   





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