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      Accanto a lui provava fortissimo quel fascino che le menti superiori e i gagliardi caratteri hanno sempre esercitato sopra di me; accanto a lui sentiva quella potente influenza che fanno sempre provare le grandi passioni. Quale fosse la passione di William, io ignoravo, ma ero convinto che dovesse essere delle più ardenti che consumano il cuore umano; che possono fare dell'uomo, in un'ora, un Dio o un mostro; un miracolo di felicità o un inferno di dolore.
     
     
      II. UN GIORNO A MADERA.
     
      Alla vigilia del nostro arrivo a Madera la gioia di William era piena di agitazione; pareva convulsa. Parlava interrotto, si chiudeva nella sua cabina cento volte al giorno, e cento volte risaliva sul cassero. Molte volte nella giornata consultò il suo orologio; sedette a mensa cogli altri, ma di certo non avrebbe saputo dire ad anima viva con chi avesse bevuto o mangiato. Passò la notte sul cassero.
      Alla mattina del 17 tutti i passeggeri erano in piedi, divorati dalla stessa curiosità di veder la terra, di guarire ad un tratto dalla lunga malattia della noia marina. William non c'era; e per quanto poco io lo conoscessi, capii il perché di quell'assenza. Egli di sicuro, stava spiando la terra dal finestrino della sua cabina; aveva un orizzonte più ristretto di noi, ma lo vedeva tutto solo; non sentiva intorno a sé il molesto attrito della turba indifferente e l'armonia del suo cuore non era turbata dal cicaleccio dei profani.
      Al primo apparire, il paradiso di Madera sembrava piuttosto una scena dell'inferno dantesco.


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Un giorno a Madera
di Paolo Mantegazza
Casa Editrice Bietti Milano
1925 pagine 147

   





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