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      Son passato tre volte davanti a Madera e sempre sentii prorompere dal petto dei più volgari viaggiatori un grido dell'anima. Perché non ho una casuccia in questo paradiso? Le più grandi voluttà della vita son tutte eguali, trovate per via come un fiore smarrito allora allora dal seno di una giovane sposa, ci dànno l'ebbrezza di un lampo e se ne vanno, senza che la nostra mano irrequieta possa arrestarle o richiamarle; se ne vanno a perdersi nel mondo dell'infinito, come nuvoletta che si consuma negli spazii del cielo.
      L'incanto di quella vista doveva durar poco: un grido di cento bocche, un pandemonio di cento bestemmie portoghesi, aspre d'accento e più aspre di senso ci richiamarono al bisogno di sbarcare, di trovarci una barchetta fra le tante che impertinenti e schiamazzanti battevano il loro capo contro il Thames.
      E poi fra gli urli e le grida, appena sbarcati, dovetti a forza aprirmi la via fra la gente mezzo nuda che mi offriva un albergo; a venditori di bastoni, a venditrici di merletti; ad un mondo d'altri uomini e d'altre donne che in ottimo portoghese, in pessimo francese, e in cattivo inglese volevano tutti qualche cosa da me, senza che io volessi alcuna cosa da loro.
      Consummatum est: l'istante della voluttà era consumato, ma io l'avevo scritto in quella parte del cuore dove nulla si cancella. Nel bilancio delle forze della vita otto giorni di navigazione erano stati compensati ad usura dalla rapida fantasmagoria del panorama di Madera: ora la realtà della vita mi chiamava alla difesa personale, allo studio pratico di Funchal; infine la poesia cedeva il posto all'amministrazione della vita.


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Un giorno a Madera
di Paolo Mantegazza
Casa Editrice Bietti Milano
1925 pagine 147

   





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