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      Al di sopra delle molte reticenze dell'educazione, al di sopra dell'ipocrisia, al di sopra delle cento lingue che separano gli uomini e li fanno stranieri gli uni agli altri, Dio ci ha lasciato un raggio di luce del suo paradiso; e ce l'ha messo nel fondo delle nostre pupille. Due occhi nel lampo d'un minuto, possono scagliarsi contro torrenti di bile, vampe di desiderio, onde d'amore; l'occhio può odiare, può disprezzare, può adorare; può fremere, può dubitare e può bestemmiare e benedire. L'occhio può comandare e obbedire; può chiedere e rispondere; può tutto fuorché mentire. Così cogli occhi vostri avete detto d'amarmi, e se mi amate perché mi fuggite? E voi mi fuggite da un mese: voi mi fuggite da quella sera in cui a bordo del Thyne noi passavamo insieme la Manica. Voi ritornavate da un viaggio in Italia, fatto con vostra zia, viaggio che io aveva fatto con voi, accompagnandovi di lontano, e scomparendo e ricomparendo a volta a volta, or combattuto dal rispetto e dalla convenienza, or trascinato nell'orbita del mio sole.
      Ma il Thyne ci aveva raccolti sotto lo stesso tetto, e, in una bellissima sera, col mare tranquillo, colla luna che si nascondeva a compariva fra i fiocchi densi di fumo del nostro battello, voi eravate seduta sopra una panchetta del cassero davanti a vostra zia, che, dopo di aver ascoltato il mio lungo cicaleccio, si era addormentata.
      Voi mi lasciaste parlare, e guardando la luna, vi compiacevate di nasconderla ad ogni momento agli occhi vostri con un grazioso piegar del capo che vi faceva sparire l'astro della notte dietro il tubo nero nero del camino.


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Un giorno a Madera
di Paolo Mantegazza
Casa Editrice Bietti Milano
1925 pagine 147

   





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