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      Non avrei mai creduto che l'uomo potesse soffrire tanto e non stancarsi nel dolore. Aveva ragione Byron di dire che il dolore è mezza della sua immortalità. La fame si sazia, la gioia si sazia, il lavoro si stanca, il pensiero riposa; dorme l'ambizione, dorme l'avarizia, dorme il genio: ma il dolore non dorme, non posa, no, si sazia di sé stesso, ma come la fenice della favola antica si rinnovella dalle proprie ceneri; e quando i nervi non bastano più a tanto tormento, il dolore cambia di forma e rimane più crudele e sempre nuova la tortura.
      Dopo l'ira che morde, sento lo strazio che m'adunghia, dopo lo strazio la disperazione, dopo la disperazione l'amarezza, dopo l'amarezza lo sconforto, e poi di nuovo lo strazio e la tortura, il vampiro che mi sugge il sangue dal cuore, lo sgomento d'un sogno spaventoso; e sempre un abisso di dolore senza fondo, senza confini, nero, eterno, gelato, inesorabile.
      Ah! miss Emma, chi ha osato ridere della religione non ha mai sofferto.
      E voi siete il carnefice di tanta tortura; e voi sola in questo mondo che mi intendete, potete capire quanto sia il mio dolore. Voi non fate patire in me un uomo solo, ma due generazioni di uomini... voi lo sapete. In me l'amore ha riunito due razze, due destini, due mondi.
      Mia madre era italiana, il padre mio inglese; erano due nature che più lontane, più diverse la natura non fece mai; e l'amore, il più potente degli alchimisti, fu chiamato a fare il miracolo di riunirli in uno solo; ed io sento in me due nature, due mondi di pensieri, di sensazioni, di gioie e di dolori.


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Un giorno a Madera
di Paolo Mantegazza
Casa Editrice Bietti Milano
1925 pagine 147

   





Byron Emma