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      Esiste dunque la spada invisibile del destino che piomba sul capo senza diritto e senza ragione, che fa sogghignare il cinico, che fa bestemmiare contro la vita, contro la provvidenza, contro Dio?
      Perché non divento pazzo? Perché non posso morire? Ma fossi l'ultimo, il più povero, il più infelice, il più spregevole degli uomini, sono un uomo anch'io e voi, donna, dovete porgere la mano a chi soffre tanto. Accarezzate un'ultima volta la vostra vittima prima di consegnarla al laccio del carnefice; siatele cortese d'una parola sola.
      Io non vi domando l'amore, non vi domando la pietà, vi domando l'elemosina di una parola. Rispondete all'ultima lettera. Son tre giorni che io vi ho scritto; capite voi, Emma, che cosa voglia dire tre giorni? Tre giorni e tre notti; settantadue ore, dopo aver letto un pezzo di carta firmato da voi e che mi diceva che non potevate essere mia.
      Le leggi moderne permettono ancora la pena di morte, ma il condannato si sente leggere la propria sentenza; egli conosce perché lo si ammazza. Dovrei io esser trattato peggio di un assassino, peggio di un parricida? Son tre giorni che avete ricevuto la mia lettera e avete voi saputo tacere tre giorni? Non siete voi dunque una donna... non siete voi neppure un uomo? Voi siete morta di certo, non potete esser viva. sapendo che, a pochi passi da voi, che dinanzi alla vostra casa, intorno alle mura del vostro giardino, si agita uno spirito che è vostro, che è parte di voi stessa, che muore di gelo, che batte i denti per il freddo e a cui nessuno apre la porta per riscaldarlo.


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Un giorno a Madera
di Paolo Mantegazza
Casa Editrice Bietti Milano
1925 pagine 147

   





Dio Emma