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      Nulla può sostituirsi alla salute perduta; non la ricchezza, non l'educazione, non la scienza, non la religione.
     
      Vestite di seta, coprite d'oro un malato, mettetelo in un cocchio dorato, portatelo nel tumulto d'una pazza festa e ditegli che sorrida.
     
      Vestite un cadavere d'oro e di gemme, mettetegli in mano lo scettro del potere e ditegli che goda.
     
      La vita malata, debole, zoppicante, medicata sempre e sempre fasciata, è un assenzio che non v'ha miele che possa raddolcire, è dolore per cui non v'ha conforto; è fatica per cui non v'ha altro riposo che quello della fossa.
     
      Mia Emma, mia cara Emma, tu m'hai sempre amato, tu hai ardentemente amato tuo padre: ma io, dopo aver perduto tanti figliuoli e dopo averti veduta morente più d'una volta, ho maledetto me stesso e il mio peccato e la mia ignoranza e l'ignoranza dei medici, che avevano fatto versare nella mia famiglia quel veleno di cui io dovrò morire.
     
      Nato malato, avrei patito io solo; solo, avrei potuto render utili agli amici e al paese quegli anni di vita sofferente che pur la natura m'aveva concesso.
     
      Io invece ho maledetto l'ora in cui son nato; ho raddoppiato, ho moltiplicato cento volte il mio dolore col dolore dei miei figliuoli; ho cambiato la mia casa in un cimitero.
     
      La mia ignoranza ora non può giustificare più alcuno; la scienza moderna lo ha detto, lo ha proclamato ad altissima voce, che per fondare una famiglia conviene esser forti; ha dimostrato che i tisici generano tisici, gli epilettici epilettici, che una delle leggi più inesorabili è quella della eredità morbosa.


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Un giorno a Madera
di Paolo Mantegazza
Casa Editrice Bietti Milano
1925 pagine 147

   





Emma Emma