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      Non mi lamento, Emma; farò di diventar proprio un fratello, null'altro che un fratello per te.
      È un mestiere molto difficile e che non ho mai imparato, perché io fui sempre solo nella mia famiglia, ma con una maestra così paziente e così calma come miss Emma, farò dei progressi e diventerò maestro anch'io nell'arte di fare il fratello colla donna che si ama sopra ogni cosa in questo mondo. Ma no, ma no: non ho il diritto di lamentarmi, né di nascondere il mio dolore sotto una vernice di ironia maligna. Non mi hai tu concesso di sperare, non ti sei tu decisa per amor mio a consultare tre dei medici più famosi di Londra per sapere se, facendoti robusta, non avresti potuto divenir madre senza paura e senza offendere la memoria di tuo padre? E avrei io il diritto di accusarti, perché più forte e più buona di me, tu mi riconduci con un tuo sguardo dolce e imperioso sulla via del dovere?
      Emma, Emma, io mi sento così piccola cosa, quando ti son vicino, che tu potresti far di me quel che vuoi. Ho il dovere di obbedirti per tutta la vita, perché una volta sola tu mi hai permesso di comandarti: e piangendo sulla tomba di tuo padre, hai domandato alla sua ombra di scioglierti dalla tirannia d'un giuramento che ti incatenava per tutta la vita.
      Quando penso, mia Emma, alle lunghe lotte sofferte da te a San Terenzo e qui a Londra, mi sento superbo di amarti. L'amore e il dovere si facevano così aspra guerra ch'io non saprei dirti se più ti amassi, quando, piangendo, mi dicevi:
      - Mio padre ci perdonerà, nevvero?


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Un giorno a Madera
di Paolo Mantegazza
Casa Editrice Bietti Milano
1925 pagine 147

   





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