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      Io credeva di morire: raccoglieva tutte le mie forze e gettava un grido così forte da far svegliare la cameriera che dormiva nella camera vicina. Il mio grido aveva svegliato anche la tua Emma, ed io sentiva battere forte forte il mio cuore, quasi volesse escire dal petto e mi trovava tutta coperta di sudore.
      Durava fatica a riprendere il sonno, e appena chiudeva le palpebre, quei dottori e quei martelli mi ritornavano dinanzi sempre più terribili, sicché non riuscii a calmarmi che dopo averti promesso che alla mattina avrei appagato il tuo desiderio e mi sarei recata a visitare i tre medici più illustri di Londra.
      E con questo fermo proposito mia alzai, e colla mia cameriera presi una vettura, dicendo al cocchiere di condurci dal dottor B...
      Egli abita all'altro estremo della città e il cammino mi pareva eterno. Mi impazientiva coi cavalli e con me stessa; avrei voluto non averti data la mia parola e giungeva quasi all'ipocrisia di persuadermi che una promessa fatta fra i terrori di un sogno non poteva obbligarmi a mantenerla e non aveva alcun valore morale. Allora mi pareva che il vecchio medico di mio padre mi avrebbe messo il broncio, perché avessi consultato altri dottori fuori di lui, e credeva vedere il volto accigliato di mio padre che mi ripeteva col piglio della sua collera più furiosa quelle parole che tante volte aveva udito dal suo labbro:
      - Cambiate pure i servi, le cameriere, il vestito, i cavalli, la casa, ma non cambiate mai il vostro medico!
      Ma tu, mio William, puoi esser superbo, perché il solo ricordarti faceva mettere in fuga il vecchio dottore e fin l'ombra incollerita di mio padre; ed io non pensava che alla mia promessa.


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Un giorno a Madera
di Paolo Mantegazza
Casa Editrice Bietti Milano
1925 pagine 147

   





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