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      Per risparmiarmi l'inutile tortura dell'esame del mio povero torace, gli esposi brevemente come io fossi la figlia di un padre morto di tisi, come avessi perduti i miei fratelli della stessa malattia, e io stessa andassi soggetta a bronchiti ostinate e a sputo sanguigno. Per quanto mi studiassi di non dire che le parole necessarie per essere capita, egli pareva conoscerle prima che io le avessi pronunciate, e mi interrompeva ad ogni momento con dei hum, hum, hum, e coi segni di una viva impazienza.
      Dicendogli di non volere essere esaminata, perché già esplorata e torturata da mille esplorazioni mediche, gli porsi quella sentenza che fu sottoscritta da parecchi medici chiamati una volta in consulto da mio padre; sentenza che io ormai ho imparato a memoria, senza capirla...
      «Tubercolosi ereditaria; mutezza della regione sottoclavicolare destra; mormorìo vescicolare molto debole in tutto il torace ma più a destra e in alto; aspirazione prolungata, aspra ed interrotta. Aderenze pleuritiche dai due lati del torace; organi digerenti in ottime condizioni.»
      Porgendogli quello scritto misterioso e crudele, come una sentenza di morte scritta in lingua straniera, esprimeva al dottor B. il desiderio di sapere, se col cambiamento di clima io avrei potuto migliorare la mia salute in modo da scongiurare affatto ogni pericolo per l'avvenire... e qui incominciava a farmi rossa rossa, perché dovevo pronunciare le parole più difficili, quelle appunto per le quali tu dovevi imposto di consultare i medici più illustri di Londra; e ti assicuro che ci sarei riuscita, se il corpulento dottore, senza capire né il mio rossore, né la mia esitazione, non mi avesse interrotta bruscamente, dandomi un urto doloroso all'anima, che tu capirai certamente, mio buon William.


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Un giorno a Madera
di Paolo Mantegazza
Casa Editrice Bietti Milano
1925 pagine 147

   





Londra William