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      Fu scritta già la storia della magìa e si credette averla sepolta sotto la pietra del medio evo, ma io credo fermamente che un'ultima pagina rimanga a scriversi di quella storia, ed è quella della medicina. Parevami nei miei due giorni di melanconia e di stanchezza che l'arte del curare fosse magìa antica vestita in giubba e cravatta bianca. E non è forse magìa la ricetta latina con numeri geroglifici e non è forse magìa il toccar del polso e lo sporger della lingua, e la fede nel rimedio, e la profezia sempre ripetuta e sempre smentita; e non è gergo di magìa tutto quel linguaggio greco e latino che nasconde nel fumo e nelle bolle di sapone il vuoto della scienza?
      Dalla Sibilla di Cuma alla Zingara, all'omeopatico, all'oracolo di Delfo, alla chiromanzia e alla medicina non vi è forse una gerarchia naturale di pregiudizio, di mistificazione, di magìa? La paura della morte ha creato molti pregiudizii; non potrebbe essa aver fatto conoscere anche la medicina? La sentenza più mite che si possa dare è quella di Lamartine, che essa è una intenzione per guarire. Fra il dottor B. che voleva uccidermi per dimostrare la profonda convinzione della sua fede, e il dottor T. che prima di curarmi, mi faceva morire sotto le montagne gelate della sua sterile erudizione, io non vedeva posto alcuno per una medicina che fosse scienza e conforto, che non fosse né fanatismo né negazione di tutto.
      Mio caro William, io m'ingannava. Fra i due poli del fuoco e del gelo esiste un largo campo per la medicina, vi sono uomini che curano le malattie e che non rassomigliano punto né al dottor T. né al dottor B.


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Un giorno a Madera
di Paolo Mantegazza
Casa Editrice Bietti Milano
1925 pagine 147

   





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