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      Più in là il mare era azzurro e senza rumori: una vela lontana si perdeva in quell'orizzonte più sereno, e pareva un'ala di uccello marino. Là era la vita del pensiero, che attinge ancora la lena dall'azione, ma che già si solleva nei campi dell'infinito, non più confini precisi, non più chiasso; ma il fluido eterno che mai non posa e sempre si muove. E poi giù, nel fondo, l'occhio faceva ancora un passo e si trovava di nuovo in un mare grigio che si perdeva fra le nebbie dell'orizzonte: là né il chiasso che distrae, né il sereno che riposa od eleva, ma un quadro incerto e sconfinato, ma l'infinito deserto del mistero, entro cui l'uomo si smarrisce e si confonde. Era in quella parte del quadro che il mio pensiero triste e vagabondo amava meglio perdersi e divagare. Ora la linea bigia rimaneva immota, ed ora, sollevandosi lenta lenta in fiocchi di fumo, pareva plasmare una terra lontana, la terra delle eterne speranze, e dei sogni senza fine: quella terra di nubi che tante volte strappò un grido di gioia ai compagni disperati di Colombo.
      Là in quell'abisso di deserti nebbiosi, nessun colore, nessuna forma; ma il caos infinito da cui Dio trasse l'ordine e l'uomo la poesia; là un'eternità di movimento, là un'onda che, eternamente eguale a sé stessa, alimenta il crostaceo microscopico e la balena gigante; che eternamente impassibile copre e lambe le ossa di un pescecane morto decrepito e le reliquie di due sposi che, naufraghi e moribondi, si strinsero in un ultimo amplesso e lasciarono le loro ossa intrecciate sul piano dell'arena profonda.


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Un giorno a Madera
di Paolo Mantegazza
Casa Editrice Bietti Milano
1925 pagine 147

   





Colombo Dio