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      Qui non distingue più, come nella nota al Trionfo della Libertà, fra prete buono e prete cattivo; ma li coinvolge tutti insieme in una sola condanna. Nel tempo istesso però invoca di nuovo quella speranza di una seconda vita, quell'esistenza di spiriti beati, quella specie di Eliso, senza la quale speranza, dice, troverebbe troppo triste la vita presente. Il dubbio dura sempre, non desolante e sterile, ma calmo e fiducioso: e la speranza vive accanto alla insofferenza della rivelazione che soffoca la ragione.
      Ecco quanto scriveva al Pagani:
      «Non puoi credere quanta pena mi abbia fatto la nuova della grave malattia del nostro povero Arese; e mia madre, che divide ogni mio affetto, ne fu pure assai triste ed in timore. Calderari mi annunciò qualche miglioramento che mi riempì di gioia e di speranza. Duolmi amaramente che gli amici non abbiano adito al suo letto, e che invece egli debba aver dinanzi agli occhi l'orribile figura di un prete. Nè puoi figurarti quanto dolore ed indignazione abbia in noi eccitato il sentire da Calderari che ad Arese era stata annunciata la fatale sentenza (spero per Dio che sarà vana). Crudeli, così se egli schiva a morte, avrà dovuto nullameno assaporare tutte le sue angoscie! E quante volte l'annunzio della morte ha ridotto agli estremi dei malati che, ignorando il loro stato, sarebbero guariti? Basta: i mali del caro ed infelice Arese, che ho sempre dinanzi agli occhi, mi allontanano sempre più da un paese in cui non si può nè vivere nè morire come si vuole.


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Del trionfo della libertà
di Alessandro Manzoni
Editore Sonzogno Milano
1882 pagine 91

   





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