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      E pendeano le rive irresolute.(39)
     
      La Dea mirolle, e rise un cotal riso(40)
      Di scherno e di disdegno, che dipingeDi gioja al giusto, al rio di tema il viso.
     
      E immobile in suo seggio, il cocchio spingeSu le attonite larve; e le fracassa
      E l'aureo rote del lor sangue tinge.
     
      Nè per timore o per desìo s'abbassa,
      Ma disdegnosa e nobile in sua possaAlteramente le sogguarda, e passa,
     
      Fumò la terra di quel sangue rossa,
      Ond'esalava abbominoso lezzo,
      E da l'ime radici ne fu scossa.
     
      Ondeggia, crolla, e alfin si spacca, il mezzoApre del sen tenebricoso, e ingoja
      Quei vituperi, e parve aver ribrezzo.
     
      Quinci acuto s'udì grido di gioja,
      E quindi un fioco rimbombar di duolo,
      Simile a rugghio di leon che moja.
     
      S'alzò tre volte, e tre ricadde al suoloSpossata e vinta l'Aquila grifagna,(41)
      Che l'arse penne ricusaro il volo.
     
      Alfin, strisciando dietro a la campagnaLe mozze ali e le tronche ugne, fuggìo
      A gli intimi recessi di Lamagna.
     
      Allor prese i tiranni un brividìo,
      Che gli fe' paventar de la 1or sorte.
      E mal frenato in sulle gote uscìo,
     
      E gliele tinse d'un color di morte.
     
      FINE DEL CANTO PRIMO.
      CANTO SECONDO
     
      Col pensier, con gli orecchi o con le cigliaTutt'era immerso in quell'altera vista,
      Come colui che tace e maraviglia,
     
      Qual dicon che, de' spirti in fra la lista,
      Stesse mirando le magiche noteIl furente di Patmo Evangelista.(42)
     
      Quand'io vidi la Dea, che su l'immoteMaledette sorelle il cocchio spinse,
      E su le infami cigolar le rote.
     
      Primamente un terror freddo mi strinse,
      Poi surse in petto con subita forzaLa letizia, che l'altro affetto estinse.


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Del trionfo della libertà
di Alessandro Manzoni
Editore Sonzogno Milano
1882 pagine 91

   





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