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      Farinaccio istesso,
      dice l'illustre scrittore, "parlando de' suoi tempi, asserisce che i giudici, per il diletto che provavano nel tormentare i rei, inventavano nuove specie di tormenti; eccone le parole: Judices qui propter delectationem, quam habent torquendi reos, inveniunt novas tormentorum species(7) ."
     
      Ho detto: in loro favore; perché l'intimazione ai giudici d'astenersi dall'inventar nuove maniere di tormentare, e in generale le riprensioni e i lamenti che attestano insieme la sfrenata e inventiva crudeltà dell'arbitrio, e l'intenzion, se non altro, di reprimerla e di svergognarla, non sono tanto del Farinacci, quanto de' criminalisti, direi quasi, in genere. Le parole stesse trascritte qui sopra, quel dottore le prende da uno più antico, Francesco dal Bruno, il quale le cita come d'uno più antico ancora, Angelo d'Arezzo, con altre gravi e forti, che diamo qui tradotte: "giudici, arrabbiati e perversi, che saranno da Dio confusi; giudici ignoranti, perché l'uom sapiente abborrisce tali cose, e dà forma alla scienza col lume delle virtù(8) ".
     
      Prima di tutti questi, nel secolo XIII, Guido da Suzara, trattando della tortura, e applicando a quest'argomento le parole d'un rescritto di Costanzo, sulla custodia del reo, dice esser suo intento "d'imporre qualche moderazione ai giudici che incrudeliscono senza misura.(9) "
     
      Nel secolo seguente, Baldo applica il celebre rescritto di Costantino contro il padrone che uccide il servo, "ai giudici che squarcian le carni del reo, perché confessi"; e vuole che, se questo muore ne' tormenti, il giudice sia decapitato, come omicida(10).


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Storia della colonna infame
di Alessandro Manzoni
pagine 132

   





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