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      Lo sventurato, rimesso alla tortura, nominò pur troppo una persona reale, un Giulio Sanguinetti, banchiere: "il primo venuto in mente all'uomo che inventava per lo spasimo(73) ".
     
      Il Piazza, che aveva sempre detto di non aver ricevuto danari, interrogato di nuovo, disse subito di sì. (Il lettore si rammenterà, forse meglio de' giudici, che, quando visitaron la casa di costui, danari gliene trovaron meno che al Mora, cioè punto.) Disse dunque d'averne avuti da un banchiere; e non avendogli i giudici nominato il Sanguinetti, ne nominò lui un altro: Girolamo Turcone. E questo e quello e vari loro agenti furono arrestati, esaminati, messi alla tortura; ma, stando fermi a negare, furon finalmente rilasciati.
     
      Il 21 di luglio, furono al Piazza e al Mora comunicati gli atti posteriori alla ripresa del processo, e dato un nuovo termine di due giorni a far le loro difese. L'uno e l'altro scelsero questa volta un difensore, col consiglio probabilmente di quelli ch'erano stati loro assegnati d'ufizio. Il 23 dello stesso mese, fu arrestato il Padilla; cioè, come è attestato nelle sue difese, gli fu detto dal commissario generale della cavalleria, che, per ordine dello Spinola, dovesse andare a costituirsi prigioniero nel castello di Pomate; come fece. Il padre, e si rileva dalle difese medesime, fece istanza, per mezzo del suo luogotenente, e del suo segretario, perché si sospendesse l'esecuzione della sentenza contro il Piazza e il Mora, fin che fossero stati confrontati con don Giovanni. Gli fu fatto rispondere "che non si poteva sospendere, perché il popolo esclamava.


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Storia della colonna infame
di Alessandro Manzoni
pagine 132

   





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