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      Avrebbero i giudici voluto attaccar questa storia a quella de' due che avevano assassinati, e far per ciò dire a costui, che aveva ricevuto da loro onto et danari. Se avesse negato semplicemente, avevan la tortura; ma la prevenne con questa singolare risposta: Signor no, che non è vero; ma se mi date li tormenti perché io neghi questa particolarità, sarò forzato a dire che è vero, benché non sij. Non potevan più, senza farsi troppo apertamente beffe della giustizia e dell'umanità, adoprar come esperimento un mezzo del quale eran così solennemente avvertiti che l'effetto sarebbe certo.
     
      Fu condannato a quel medesimo supplizio; dopo l'intimazion della sentenza, torturato, accusò un nuovo banchiere, e altri; in cappella, e sul patibolo, ritrattò ogni cosa.
     
      Se di questo disgraziato, il Piazza e il Mora avessero detto solamente ch'era un poco di buono, si vede da vari fatti che saltan fuori nel processo, che non l'avrebbero calunniato. Calunniaron però anche in questo, il suo figliuolo Gaspare; del quale è bensì riferito un fallo, ma è riferito da lui, e in tali momenti, e con tal sentimento, che ne risulta come una prova dell'innocenza e della rettitudine di tutta la sua vita. Ne' tormenti, in faccia alla morte, le sue parole furon tutte meglio che da uom forte; furon da martire. Non avendo potuto renderlo calunniator di sé stesso, né d'altri, lo condannarono (non si vede con quali pretesti) come convinto; e dopo l'intimazion della sentenza, l'interrogarono, come al solito, se aveva altri delitti, e chi erano i suoi compagni in quello per cui era stato condannato.


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Storia della colonna infame
di Alessandro Manzoni
pagine 132

   





Piazza Mora Gaspare