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      Parole e frasi, per finirla, tanto note per uso, e immedesimate col loro significato, che quando uno scrittore ingegnoso, per mezzo di analogia le fa servire ad un significato pellegrino, quel nuovo uso sia inteso senza oscurità e senza equivoco, ed ogni lettore vi senta in un punto e l'idea comune, e quel passaggio, quella estensione etc. che ha in quell'uso particolare.
      Per bene usare parole e frasi tali, cioè per bene scrivere sono necessarie due condizioni. Che lo scrittore (lasciando sempre da parte l'ingegno) le conosca, che abbia letto libri bene scritti, e parlato con persone colte, che abbia posto studio nell'udire e nel leggere e ne ponga nel parlare. Ma questa condizione è la seconda. La prima è che parole e frasi adottate esclusivamente per convenzione generale esistano, che moltissimi scrittori e parlatori, come d'accordo, abbiano formata questa lingua ch'egli debbe scrivere, gli abbiano preparati i materiali. Se in Italia vi sia una lingua che abbia questa condizione, è una quistione su la quale non ardisco dire il mio parere. È ben certo che v'ha molte lingue particolari a diverse parti d'Italia, che in una sfera molto ristretta di idee certamente, ma hanno quell'universalità e quella purità. Io per me, ne conosco una, nella quale ardirei promettermi di parlare, negli argomenti ai quali essa arriva, tanto da stancare il più paziente uditore, senza proferire un barbarismo; e di avvertire immediatamente qualunque barbarismo che scappasse altrui: e questa lingua, senza vantarmi, è la milanese.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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