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      Quando Vittoria intese questo fu certa che v'era una cosa da sapersi e che la cosa era grave, e giurò a se stessa di non lasciare andare a dormire il Curato senza averla saputa. «Ma, signor padrone, per l'amor di Dio mi dica che cosa ha: vuol ella ch'io sappia da altra parte che cosa le è accaduto?» «Sì sì, da brava, andate a fare schiamazzo, a metter la gente in sospetto». «Ma io non dirò niente se ella mi toglie da questa inquietudine». «Non direte niente come quando siete corsa a ripetere alla serva del curato nostro vicino tutti i miei lamenti contro il suo padrone, e m'avete messo nel caso di domandargli scusa, come quando...» Vittoria sarebbe qui montata sulle furie se non avesse avuto un secreto da scavare, e se non avesse pensato che nulla allontana da questo intento come il piatire sopra cose estranee. Interruppe dunque Don Abbondio, ma in aria sommessa: «Oh per amor del cielo, che va ella mai rimescolando: sono stata ben castigata, non aveva creduto far male, e dopo d'allora guarda che mi sia uscita una parola. Signor padrone, se io parlo...» «Via, via, non giurate». «Ma vorrei poterla soccorrere, chi sa che io non abbia un povero parere da darle. Io l'ho sempre servita di cuore e con attenzione, ma ella sa», e qui fece voce da piangere, «ella sa che i misterj non li posso soffrire. Una serva fedele ha da sapere...»
      In fondo il curato aveva voglia di scaricare il peso del suo cuore, onde fattigli ripetere seriamente i più grandi giuramenti le narrò il miserabile caso, mentre la buona Vittoria, tra la gioja del trionfo, e l'inquietudine del fatto che non poteva esser lieto, spalancò gli orecchi e ristette colla posata alzata nel pugno che tenne puntato sulla tavola.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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