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      «Misericordia!» sclamò Vittoria: «oh gente senza timor di Dio, oh prepotenti, oh superbi, oh calpestatori dei poverelli, oh tizzoni d'inferno!» «Zitto zitto, a che serve tutto questo?» «Ma come farà Signor padrone?» «Oh! vedete», disse il curato in collera, «i bei pareri che mi dà costei? Viene a domandarmi come farò, come farò, come se fosse ella nell'impiccio e che toccasse a me cavarnela». «Sa il cielo se me ne spiace, Signor padrone, ma bisogna pensarci». «Sicuro, e nell'imbroglio son io».
      «Pur troppo», disse Vittoria, «ma non si lasci spaventare: eh! se costoro potessero aver fatti come parole, il mondo sarebbe loro: Dio lascia fare ma non strafare: e qualche volta cane che abbaja non morde». «Lo conoscete voi questo cane? e sapete quante volte ha morso?...» «Lo conosco e so bene che...» «Zitto, zitto, questo non serve». «Signor padrone, ella ci penserà questa notte, ma intanto non cominci a rovinarsi la salute per questo: mangi un boccone».
      «Ma se non ho voglia». «Ma se le farà bene», e detto questo, si avvicinò al seggiolone dov'era il curato e lo mosse alquanto come per dargli la leva: il curato si alzò, ella spinse il seggiolone vicino alla tavola: il curato vi si ripose, e mangiato un boccone di mala voglia, facendo di tempo in tempo qualche esclamazione, come: - Una bagattella! ad un galantuomo par mio: - ed altre simili, se ne andò a letto colla intenzione di consultare tranquillamente, e ordinatamente sui casi suoi.
     
      CAPITOLO II
     
      FERMO
     
      La consulta fu tempestosa e durò tutta la notte.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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