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      Fermo era come l'abbiam detto un giovane tranquillo, ed innocuo, ma in quel punto il suo cuore non batteva che per l'omicidio. Andava dunque per affrontare lo scellerato quando pensò che a quella casa benché discosta alquanto dall'abitato, pure era cosa insensata e piena di pericolo l'avvicinarsi con mire ostili; giacch'ella era una specie di picciol forte con una guarnigione di bravi. Egli sentì tosto che ad una sola parola irriverente che avesse detta sarebbe stato scacciato, che mostrandosi, anche senza parlare, intorno a quella casa sarebbe stato provocato, e ucciso, e che i suoi uccisori lo avrebbero dipinto come un assassino. Ma risoluto alla vendetta, pensò che l'unico modo di eseguirla era aspettare un momento in cui per caso Don Rodrigo uscisse scompagnato dai suoi bravi, di aspettarlo dietro una macchia o un muricciuolo. In questa risoluzione si rivolse quasi macchinalmente per tornare a casa a prendere il suo archibugio. Andando, egli s'immaginava di starsene appiattato, gli pareva di sentire una pedata, di alzare chetamente la testa, di vedere Don Rodrigo, prendeva la mira, sparava, lo vedeva cadere, gli lanciava una maledizione, e correva verso il confine per mettersi in salvo. E mentre tripudiava in questa immaginazione, gli si attraversò un pensiero: - E Lucia... che ne sarà? - Appena la catena delle idee feroci che lo dominava in quel punto fu interrotta, le migliori idee a cui era avvezzo entrarono in folla. Si ricordò la consolazione che aveva tante volte provata pensando di esser mondo di sangue, gli avvisi di suo padre, le preghiere ripetute e sollecite di sua madre moribonda, pensò all'inferno, a Dio, alla Beata Vergine, e si risvegliò da quel sogno di sangue con ispavento e con rimorso, e con una specie di gioja di non aver fatto niente.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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