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      Che s'ella sofferendo pazientemente qualche sgarbo, si ostinava pure a volere famigliarizzarsi con alcuno della famiglia, se senza lamentarsi implorava velatamente un po' di amore, se si abbandonava ad espressioni confidenziali, e affettuose, ella si udiva tosto gittar qualche motto più diretto e più chiaro intorno alla elezione dello stato: le si faceva sentire che l'amore della famiglia non era cessato per lei, ma sospeso, e che da lei dipendeva l'esser trattata come una figlia di predilezione. Allora ella era costretta a ritirarsi, a schermirsi da quelle tenerezze che aveva tanto ricercate, e si rimaneva con l'apparenza del torto. Si accorava e si andava sempre più perdendo d'animo: il suo piano era scompaginato, e non sapeva a qual altro appigliarsi, pure aspettava. Ma il non veder mai un volto amico, ma le immagini tristi, e direi quasi terribili delle quali era circondata la rendevano sempre più inclinata a ritirarsi in quel cantuccio ameno e splendido che ognuno, e i giovani particolarmente, si formano nella fantasia, per fuggire dalla considerazione di oggetti che attristano. Ritornava ella dunque più che mai a quei suoi sogni del monastero, e si creava fantasmi giocondi coi quali conversare. Ma i fantasmi non acquistavano forma reale; ella era tenuta ritirata quanto nel monastero perché il tempo dei divertimenti doveva venir dopo quella domanda ch'ella non aveva fatta e che era risoluta di non fare. Rinchiusa per una gran parte del giorno con le donzelle, allontanata dalla sala ogni volta che una visita vi si presentasse, non mai condotta in altre case, come avrebb'ella mai potuto vedersi ai piedi quel tal giovane del monastero, che, senza contare tutte le altre difficoltà, non era a questo mondo?


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802