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      La sola idea del pericolo che la sua debolezza, la sua debolezza per un paggio, per una persona meccanica, fosse risaputa da alcuna delle sue antiche superiore, da una sua compagna, da un congiunto della casa, questa idea le era più terribile, più odiosa, della prigione, dell'ira dei parenti, del fallo stesso.
      Ella sentiva che con la minaccia di svergognarla così, si sarebbe potuto ottener da lei quello che si fosse voluto. E sentiva nello stesso tempo quanto fosse peggiorata la sua condizione per la scelta dello stato: giacché il primo requisito per poter resistere alle lusinghe e alle violenze era, avrebbe dovuto essere di non aver nulla da rimproverarsi.
      La compagnia della sua guardiana non le era certo di alcun sollievo nella sua ritiratezza angosciosa. Ella vedeva in quella donna il testimonio della sua colpa, e la cagione della sua disgrazia, e la odiava. E la donna non amava la fumosetta, per cui era costretta a far vita da carceriera poco dissimile da quella di carcerata, e che l'aveva resa depositaria d'un segreto pericoloso. La conversazione era quindi fra di esse quale può risultare dall'odio reciproco. Non restava a Geltrude la trista e funesta consolazione dei sogni splendidi della fantasia: perché questi sogni erano tanto in opposizione col suo stato reale, e con l'avvenire il più probabile, e quelle immagini erano tanto legate con la sua sciagura, che la mente li rispingeva con incredula avversione, e ricadeva come un peso abbandonato, nella considerazione delle circostanze reali.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





Geltrude