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      Il Marchese con lieto viso si fece incontro a Geltrude, e le disse. «Avete scelto una bella giornata: buon augurio». «Buon augurio» ripeterono la Marchesa e il Marchesino. Era preparata una sedia a bracciuoli, e il Marchese accennò amorevolmente a Geltrude che vi sedesse, e perch'ella confusa stava alquanto in forse: «qui, qui», diss'egli, «certamente: dopo la risoluzione che avete fatta non siete più una ragazzetta: siete come un di noi». Appena Geltrude si fu seduta, venne un servo che le presentò rispettosamente una tazza di ciocolatte.
      Prendere il ciocolatte a quei tempi, era, dice il nostro manoscritto, quello che presso ai romani assumere la veste virile: e tutte queste cerimonie erano piccioli fili, che legavano sempre più la povera Geltrude. Essa non confermava con parole la risoluzione che tutte quelle dimostrazioni supponevano: non diceva nulla, non faceva nulla, ma tutto ciò che si faceva d'intorno a lei, la poneva in una situazione nella quale il disdirsi, appena il mover dubbio sulla sua risoluzione, il fermarsi un momento avrebbe avuto sempre più apparenza di stranezza scandalosa. Preso il fatal ciocolatte, il Marchese si alzò, pigliò Geltrude in disparte, e con aria di consiglio amorevole le disse. «Orsù figlia mia, diportatevi bene: scioltezza, e buon garbo». E qui le diede le istruzioni su quello che doveva fare e dire, e le fece ripetere la formola della domanda. «Benissimo, a meraviglia» esclamò quindi e continuò: «Quelle buone suore vi aspettano a braccia aperte; e non sanno nulla, nulla.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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