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      «Via via... che è stato?» disse avvedendosene il Marchese, il quale era in quella faccenda tanto occupato delle conseguenze che ella poteva avere per lui che non pensava che ella potesse toccare altri tanto sul vivo. «Che è stato? io ho parlato in una supposizione impossibile... pure doveva pensare anche ad un tal caso... per quanto giudizio abbiate, io doveva mettervi in avviso sull'importanza delle risposte che oggi siete per dare. Il Signor... vi domanderà se la vostra risoluzione è libera, se i parenti non vi hanno comandato, consigliato... che so io?... ed io doveva avvisare di pesare ben bene la risposta, perché ella sia tale da non pormi nella necessità, di farne un'altra io, e... ma via, via, le son ciarle; voi farete il vostro dovere da brava, come avete fatto finora; e non si parlerà tra di noi che di consolazioni. Via non piangete, ricomponetevi, io vi lascio sola: rasserenatevi, non fate che il Signor... vi trovi in uno stato che possa dare dei sospetti... mi fido di voi». Così dicendo partì, lasciando Geltrude a tutta l'agitazione che poteva dare un tal discorso ad una giovane del suo carattere in quella circostanza. Geltrude pianse amaramente, si sdegnò, volle meditare su quello che aveva a dire; ma questa meditazione era così piena di dolori, di incertezze, e d'angustie, che la poveretta prescelse di divertirne a forza il pensiero, di rivolgerlo a qualche cosa di estraneo, e di aspettare il consiglio dalla cosa stessa e dal momento. Ma qual si fosse il partito al quale ella dovesse appigliarsi nell'abboccamento, ella stessa sentiva ripugnanza e vergogna a presentarvisi in un aspetto che annunziasse una qualche perturbazione, e risolvette di avere un aspetto tranquillo e decente; e lo ebbe in brevissimo tempo.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





Marchese Geltrude