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      Per servire a questo privilegio noi diremo qualche cosa del Signor...
      Era un buon uomo; e la bontà gli era sì naturale, che gli pareva la cosa la più naturale del mondo: siccome ve n'aveva sempre nelle sue intenzioni e nelle sue azioni, egli ne supponeva sempre nelle intenzioni e nelle azioni degli altri: nel che il buon uomo aveva torto. Non vogliam dire con questo ch'egli avrebbe dovuto giudicare sfavorevolmente degli altri, supporre il male, attenersi a quell'indegno proverbio che dice, - chi pensa male pensa una volta sola -: ohibò: questo è un eccesso più comune, e peggiore. Avrebbe dovuto lasciar di giudicare nelle cose che non lo toccavano; e in quelle nelle quali il suo giudizio doveva influire sulla sorte altrui, avrebbe dovuto sospenderlo fino a tanto che da un attento esame egli avesse potuto formarlo, buono o tristo, ma con quella maggior certezza che è data a quello stromento guasto che si chiama ragione umana. Il caso di Geltrude mostrerà come egli avesse il torto di pensar bene prima di pensare. Il Marchese parlandogli della figlia ch'egli aveva ad esaminare ne aveva esaltata la pietà, l'amore del ritiro, il desiderio di conservarsi nel chiostro per esser pura e santa. Il Signor... aveva creduto con gioja al primo momento tutte queste cose liete; e andava a far l'esame nel quale si trattava di decidere se la vocazione era vera o falsa colla prevenzione dolcissima ch'ella era vera: il buon uomo si consolava di avere a sentire l'espressione di un animo pio e fervente, di godere dello spettacolo di una buona risoluzione, mentre avrebbe dovuto pensare ad accertarsi se la risoluzione esisteva.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





Geltrude Marchese