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      Anzi non pari, perché quel solitario le gettò in disparte con disprezzo, dopo d'aver fatto ad esse un'apostrofe su la loro inutilità, e non vi pensò più; ma la bellezza era per Geltrude un rodimento continuo, una occasione di regressi affannosi nel passato, e di sguardi disperati nell'avvenire. Ben è vero che ella si andava paragonando con le altre, e si trovava più bella, ch'ella rideva di tratto in tratto, e si sarebbe creduto ch'ella ridesse di voglia, degli occhi sciarpellati della madre badessa, e del mento incartocciato della madre celleraria, ma in verità che quel riso non lasciava alla poveretta il dolce in bocca. Spendeva una parte del suo tempo nell'adornarsi come poteva, e così ingannava alcun poco la sua noja; cercava di ridurre l'abbigliamento monastico alle fogge secolaresche, o di accordarlo all'aria del suo volto, e a dir vero questo le riusciva facilmente perché la natura le aveva dato un volto che per poco che gli si lavorasse attorno stava bene. Per far questo aveva Geltrude trovato un mezzo molto ingegnoso. Gli specchj come ognun sa erano proibiti nei chiostri come i lumi nelle polveriere, e Geltrude nei primi tempi non osava ancora, come fece in appresso, conculcare tutte le regole; ma la infelice scaltrita aveva fatta porre dietro ad un quadretto ch'ella teneva appeso nella sua camera una lastra di latta levigatissima, e a quella si consultava segretamente. Ma quando dalle sue consulte ella aveva conchiuso che anche in quell'abito ella era avvenente assai, quand'anche ella se lo udiva ripetere dalle più mondane o dalle più adulatrici fra le sue compagne, il suo cuore ne rimaneva tutt'altro che soddisfatto.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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