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      Che se pure è viva tuttavia la fama e le opere di uomini vissuti in tempi rozzissimi, lo è perché quei tempi erano sommamente originali, e quelle opere ne conservano il carattere, e mostrano ai posteri un ritratto osservabile d'una età che nessun'altra cosa potrebbe rappresentarci. Ma Federigo Borromeo visse in tempi di somma, universale ignoranza, e di falsa e volgare scienza ad un tratto, fra una brutalità selvaggia ed una pedanteria scolastica, in tempi nei quali l'ingegno che per darsi alle lettere, a qualunque studio di scienza morale, cominciava (ed è questa la sola via) ad informarsi di ciò che era creduto, insegnato, disputato, a porsi a livello della scienza corrente, si trovava ingolfato, confuso in un mare tempestoso di assiomi assurdi, di teorie sofistiche, di questioni alle quali mancava per prima cosa il punto logico, di dubbj frivoli e sciocchi come erano le certezze. Non v'è ingegno esente dal giogo delle opinioni universali, e già una parte di queste miserie diventava il fondamento della scienza degli uomini i più pensatori. Che se anche i più acuti, profondi fra essi, avessero veduta e detestata tutta la falsità e la cognizione, di quel sapere, avessero potuto sostituirgli il vero, giungere al punto dove si trovano le idee e le formole potenti, solenni, perpetue; a chi avrebbero eglino parlato? E chi parla lungamente senza ascoltatori? Il genio è verecondo, delicato, e se è lecito così dire, permaloso: le beffe, il clamore, l'indifferenza lo contristano: egli si rinchiude in sè, e tace.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





Federigo Borromeo