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      Ho bisogno di voi! Ho cose che non posso più tener chiuse in cuore, e che non posso dire ad altri che a voi. Ho bisogno di sentir quelle parole che voi solo potete dirmi».
      Federigo in risposta gli strinse la mano, si avvicinò ad un tavolino, scosse un'altra volta il campanello; e tosto entrò un ajutante di camera; cui egli impose che facesse tosto apprestar la lettiga la quale stesse agli ordini del curato di Chiuso, e facesse bardare due mule, che dovevano servire di cavalcatura ai due presenti. Dato l'ordine, riprese la mano del Conte e s'avviò verso la porta della stanza; ma veduto passando il nostro Don Abbondio che stava tutto pensieroso e come ingrugnato, pensò il buon cardinale che quegli forse avesse avuto per male di vedere quel facinoroso così accarezzato e distinto, e sè negletto in un canto. Si fermò tosto, e rivolto al curato con un sorriso amorevole, e quasi di scusa, e con quel tratto cortese tanto raro a quei tempi, in cui i modi comuni erano trascuratezza superba, o cortigianeria iperbolica, gli disse: «Figliuolo, voi siete sempre con me nella casa del nostro Padre comune; ma questi, questi... perierat et inventus est». Don Abbondio rispose con un sorriso forzato al quale voleva far dire: - certo è una gran consolazione -: ma in cuor suo tra sè e sè, rispose con una frase proverbiale lombarda: - meglio perderlo che trovarlo -.
      Il Cardinale si avviò ancora verso la portiera; quando fu presso l'ajutante di camera spalancò le imposte, e Federigo, traendo per mano il Conte che lo seguiva con gli occhi bassi e con la fronte umiliata, uscì nell'altra stanza dove il clero che lo accompagnava nella visita, e quello raccolto dalle parrocchie del contorno, stava ragunato aspettando.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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