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      Il Cappellano fece ciò che gli era stato imposto; parlò al sagrestano, agli anziani, al console, e da tutti fu accertato che nulla v'era da temere. Anzi appena si ebbe sentore di questa inquietudine del Cardinale, in un momento giovani e vecchi s'offersero di guardare la casa di Lucia; con quella risoluzione, con quell'ardore con cui si veggono offrire le alleanze ad un principe vittorioso. «Son qua io», diceva l'uno... «tocca a me», diceva l'altro: «io son cugino», gridava un terzo: «io io che non ho paura di brutti musi», schiamazzava il quarto, e così fino al centesimo. Non si sarebbe potuto credere che Lucia pochi giorni prima avesse dovuto fuggire segretamente da quello stesso paese. Perché costoro non si presentavano quando v'era il bisogno? Eh! perché v'era il bisogno.
      Avuta questa sicurezza, il Cardinale partì, facendo ancora ripetere a Lucia, ch'egli non si sarebbe scostato da quei contorni prima d'aver provveduto alla sua sorte. Infatti egli andò sempre in quei giorni ripensando al modo di compire questa sua opera, e ricercando in ogni persona, in ogni circostanza se poteva farne un mezzo al suo benefico intento. A forza di attendere e di ricercare, l'occasione si presentò. Visitando una di quelle parrocchie, ricevette Federigo fra le altre visite che accorrevano da ogni parte, quella d'una famiglia potente di Milano che villeggiava in quelle vicinanze. Don Valeriano, capo di casa, Donna Margherita sua moglie, Donna Ersilia loro unica figlia, e Donna Beatrice sorella del capo di casa, rimasta vedova nel primo anno di matrimonio, e ritornata a vivere ritiratamente in casa.


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Fermo e Lucia
di Alessandro Manzoni
pagine 802

   





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